Percorsi individuali studiati sul singolo paziente in base alle sue necessità.

Si tratta di incontri della durata di 50 minuti, generalmente ma non sempre a cadenza settimanale, nei quali la cura si realizza attraverso la parola, l’ascolto, la relazione.

 

 

Normalità e follia.

Credo che l’equivoco più dannoso riguardante la psicoterapia è che sia qualcosa che serve ai matti, a quelli fuori di testa, quando proprio va bene alle persone un po’ strambe. Certo che poi ci si trova a protestare come Alice: “Ma io non voglio andare tra i matti.” In verità, io sto dalla parte del Gatto del Cheshire: “Oh, non ne puoi fare a meno. Qui siamo tutti matti.”

E non solo perché i concetti di normalità e follia fanno spesso riferimento non a quello che di fatto avviene, ma a quanto ci si aspetta che accada, nascondendo quindi un giudizio di valore che non intendo accogliere. Ma anche perché la distinzione tra normalità e follia è meno netta di quanto siamo soliti pensare: ognuno di noi per capire ciò che vuole fare ha bisogno di crearsi in qualche modo un feticcio dell'anormalità e della follia, qualcosa di rigido che indichi con chiarezza: lì non si va, questo non si fa. E invece comprendere e mettere in discussione questa linea di frontiera è proprio lo specifico della psicoterapia. Non barriere, ma transiti, spazi da conquistare per attivare un processo creativo sulla propria vita.

 

 

Parole, sogni, relazioni.

La psicoterapia è una forma di aiuto e di cura attraverso la parola, l’ascolto, la relazione.

Ma più di tutto, io credo che la psicoterapia sia una possibilità.

Si può decidere di rivolgersi a un terapeuta per molti motivi: a volte per la presenza di sintomi esplicitamente psicologici (ansia, attacchi di panico, pensieri negativi, paure, ecc.), altre a causa di un malessere che riguarda l’ambito relazionale, oppure ancora il disagio può prendere la forma di una brusca battuta d’arresto davanti a un ostacolo che sembra insormontabile o di un’impasse nel progetto di vita. In ognuno di questi casi, in tutte quelle situazioni che portano infine alla fatidica “richiesta di aiuto”, è iscritta la nostra storia di esseri umani destinati ad interrogarci sul senso della vita. L’incapacità di trovare la propria personale risposta all’esistere è la più grande sofferenza.

Viviamo costantemente tesi tra due poli, la ferita da una parte, la ricerca continua di senso dall’altra, e nascosta tra le curve e le svolte di questa ricerca c’è quello che primariamente trasforma l’esistenza: la realizzazione della nostra autenticità.

Quando la strada si fa accidentata, questa è la possibilità che offre un percorso terapeutico.

Nella psicoterapia individuale, attraverso la relazione terapeutica, si può affrontare il proprio malessere e attribuirgli un nuovo senso a partire dalla narrazione della propria storia personale e dalla condivisione del proprio vissuto, così da provare a comprendere le relazioni, le cause e le possibili connessioni tra gli elementi del racconto della propria vita (per esempio, riuscire a vedere la trama sottostante tutte quelle situazioni nelle quali ci sembra di rivivere sempre la stessa storia senza riuscire a venirne mai a capo).

Comprendere chi si è e chi si vuole diventare, a partire da un atto di assunzione di responsabilità sulla propria vita.

Ogni esperienza psicoterapeutica è quindi unica e irripetibile, perché fondata sull’irriducibile particolarità di ogni individuo e della relazione che si instaura, in un dato momento, tra quel paziente e quel terapeuta.

 

 

Cura e guarigione.

Creare connessioni.

La sofferenza psichica, al di là della forma che può assumere, è una dimensione che attiene al mondo relazionale, interno ed esterno, della persona, intercorre tra i soggetti ed è spesso legata al restringimento di senso delle connessioni tra i livelli di esperienza, che finiscono col diventare soffocanti e unidimensionali, una modalità relazionale che nega progettualità alla propria storia personale.

A ben guardare, sotto la trama del disagio psichico, si intravede il dolore di una desolata rinuncia alla progettualità.

L’impossibilità di concepire il proprio sviluppo ha a che fare con la difficoltà di avere internamente uno spazio mentale vuoto, mancante e desiderante, dal momento che la mente è tutta occupata dalle relazioni con i personaggi del passato.

Noi siamo da un lato ciò che i vari contesti hanno rappresentato di noi e dall’altro ciò che abbiamo trasformato di queste rappresentazioni sui confini di tali relazioni. Nella mescolanza tra questi due mondi speculari nasce la capacità, bloccata o assente nelle diverse forme di disturbo psicologico, di trasformarsi al variare dei contesti, di abitare i confini di transizione tra i territori mentali, tra ciò che è noto e ciò che è ignoto, tra ciò che è familiare e ciò che non lo è.

La cura in quest’ottica consiste nel prendersi cura delle relazioni dell’individuo, in un processo di rimodulazione e riconfigurazione delle sue modalità di entrare in relazione, per offrire una nuova connessione e nuovi collegamenti tra piani di esperienza che rendano infine possibile un’apertura verso un nuovo progetto di vita. Il lavoro clinico mira a far emergere quella dimensione narrativa, temporale, necessaria per la ricostruzione di percorsi di vita, e a ricreare trame di connessione mentali più ampie, essenziali per comprendere meglio quello che è accaduto e sta accadendo e giungere a una versione non paralizzante della storia di vita.

Scoprire da dove si viene, ritrovare la propria identità e la propria eredità per poter cercare il proprio posto in questa storia e solo allora allargare l’orizzonte, pensare al futuro, avere desideri, bisogni e un progetto di vita personale; ricondurre alla parola la propria vicenda, in modo da poterla rappresentare in modo coerente, cogliendone il filo e il senso, per poter, infine, uscire dal caos, dall’indicibile e dalla ripetizione.

Assumere su di sé la propria storia familiare e il proprio passato per riuscire a inventare la propria vita, varcare i confini che i sintomi chiudono per aprirsi a un nuovo progetto, con la consapevolezza che si può osare, che si è liberi in assenza di vincoli predefiniti (o, come fa scoprire Sepulveda alla sua Gabbianella, che “vola solo chi osa farlo”).

Si tratta di incontri della durata di 50 minuti, generalmente ma non sempre a cadenza settimanale, nei quali la cura si realizza attraverso la parola, l’ascolto, la relazione.